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domenica 28 febbraio 2010

Into the Wild: quando un desiderio diventa lo scopo di una vita

"Se vuoi qualcosa nella vita, datti da fare e prendila!"




Non ho avuto la possibilità di vederlo prima, ma questo film mi incuriosiva davvero tanto.
E devo ammettere che ne sono rimasta entusiasta.
Il film narra la storia vera di Christopher McCandless, interpretato da un bravissimo Emile Hirsch, che dopo la laurea, nonostante un futuro promettente, lascia tutto per inseguire il suo sogno: andare in Alaska.
Nel suo viaggio incontra tanta gente che segnerà il suo cammino, ma alla meta arriverà solo.
Straordinaria la somiglianza di Emile Hirsch con Christopher (tra l’altro questo è stato il primo motivo per cui il regista Sean Penn l’ha scelto), ma il modo in cui è entrato nella parte è ancora più sorprendente.
Costretto a perdere 20 chili durante le riprese per poter interpretare Christopher allo stremo, Emile ha interpretato talmente bene la parte da rendere il fruitore del film quasi partecipe della sua avventura.
Molto bravi anche tutti gli attori che interpretano i personaggi che ruotano attorno alla vita del protagonista.
A partire da un’intensa Kristen Stewart (la Bella di Twilight e sequel), nella sua prima impresa più matura, a Marcia Gay Harden e William Hurt, bravissimi nell’interpretare i genitori incapaci di capire il disagio del figlio e che maturano solo nell’affrontarne la perdita.
Da citare sono anche alcuni dei personaggi che Christopher incontra nel suo viaggio: Catherine Keener e Brian Dierker, che in un certo senso diventano i genitori che Chris non ha mai avuto e che avrebbe voluto. La Keener soprattutto ha saputo mostrare senza inibizioni il dolore di una mamma costretta a separarsi da suo figlio e che cerca espiazione in Chris.
Infine Hal Holbrook, che condivide i desideri del protagonista o Vince Vaughn convincente in una parte diversa dalle solite.
Ovviamente non posso non citare il regista Sean Penn, straordinario nel fondere l’intensità delle psicologie dei personaggi a paesaggi talmente belli da togliere il fiato.
Se devo però trovare un piccolo difetto, è solo la durata del film, forse un pò troppo lungo.
In ogni caso è un vero peccato che il film non sia stato riconosciuto a dovere durante gli oscar 2008.
Per chi volesse immergersi nella bellezza di questo film consiglio il sito della BIM dedicato al film.

sabato 20 febbraio 2010

Il make-up di Wolfman

Wolfman Poster Italia
Esce in questi giorni nelle nostre sale The Wolfman, remake dell’originale The Wolf Man di George Waggner, interpretato da Benicio Del Toro e diretto da Joe Johnston.
Nell’era digitale di Avatar & co., sono sicuramente da menzionare i trucchi utilizzati dal famosissimo Rick Baker per trasformare Benicio Del Toro nel paurosissimo Uomo Lupo.
“Ho lavorato alla vecchia maniera, con colla e protesi, nasi finti, peli di yak, denti acrilici, anche se ormai siamo nell’era digitale”.
Ma come non poteva essere altrimenti per questo famosissimo make up artist del cinema.
Baker è un tipo molto riservato, non ha neanche un suo sito internet: quando qualcuno vuole lavorare con lui deve contattarlo personalmente.
Non è stato così però per Wolfman: quando infatti è venuto a conoscenza del remake si è presentato spontaneamente alla produzione, facendo uno sconto sulle tariffe pur di essere assunto.
Ma sicuramente non ce ne sarebbe stato bisogno visti i suoi precedenti: con lupi e simili, Baker ha già avuto a che fare tante volte, a partire da Un lupo mannaro americano a Londra per cui ha anche vinto il suo primo oscar (in tutto ne ha vinti 6) fino a Wolf, Il Grinch o X-Men.
E’ stato persino truccatore di Michael Jackson per Thriller.
Per Wolfman ha scherzosamente affermato che il suo lavoro è stato più semplice: avendo infatti avuto spesso a che fare con attori glabri, in questo caso è stato facilitato da Benicio del Toro che è già pelosissimo.
In realtà però per il trucco andavano via ogni giorno 5 ore ma l’effetto, come potete vedere dalla foto del blog di ScreenWeek è davvero sorprendente.
Qui trovate invece una featurette con Rick Baker dal blog dell'uomo lupo.

Perchè non leggete anche la mia recensione del film?

giovedì 11 febbraio 2010

Se la tua vita fosse una zaino, che cosa ci metteresti dentro?


Certo che questa domanda un pò mi ha messo in crisi. Quando devi mettere tutto in uno zaino, necessariamente devi fare una scelta…perchè solo quello che è VERAMENTE importante vale la pena mettere.
E allora ho iniziato a pensare: cosa è realmente importante per me?
Ovviamente al primo posto viene la famiglia: i miei bimbi, mio marito, i miei genitori, mia sorella e poi la nonna (una sola perchè l’altra mi ha lasciato da poco…).
Ma poi ci sarebbero tutti gli altri parenti…non li elenco tutti perchè siamo una famiglia mooooooooolto numerosa :).
E poi vengono gli amici…e anche lì l’elenco non è certo corto:perchè ci sono gli amici veri, quelli che ci sono quando hai bisogno di loro; ma ci sono anche quelli che, anche sono per un giorno, hai considerato veri, perchè hanno segnato la tua vita con un gesto o una parola; o anche quelli che ora non consideri più tali perchè magari qualcosa ha incrinato il rapporto…ma poi tutt’a un tratto un avvenimento te li riporta alla mente e tu ti chiedi ‘ma perchè è finita?’ e allora qualcosa ti dice che per te resteranno sempre amici.
E poi ci sono le mie passioni: il cinema al primo posto (e allora un posticino per un lettore dvd devo trovarlo assolutamente!!!), un paio di libri che non scorderò (peccato non poterne portare di più…ma poi la nonna viaggerebbe scomoda ^_^ ); e poi la mia collezione di cartoline che mi ricorda i viaggi che ho fatto e quelli che farò (con tutte le cartoline che ho chiesto ai miei amici!!!).
E infine i miei diari che SONO la mia vita: li scrivo da quando, piccolina, avevo il diario del cuore (quello col lucchetto che tutti riuscivano ad aprire ricordate?) e non ho mai smesso: a pensarci bene lì dentro c’è tutto quello che ho messo nello zaino e forse anche di più….
Ora però devo fare una domanda: qualcuno può venire a sedersi sul mio zaino? Da sola non riesco a chiuderelo!!!

martedì 9 febbraio 2010

Il Mi$$ionario, una nuova esilarante commedia francese

postato su






Vi ricordate Suor Maria Claretta interpretata da Whoopi Goldberg in Sister Act? Beh, immaginatevela maschio e con la faccia burbera alla Robert De Niro. Se poi aggiungete il fatto che quest’uomo è francese il divertimento è assicurato.
Il paragone con Whoopi Goldberg mi è tornato alla mente vedendo correre Padre Mario in abiti talari e con le sue inseparabili scarpe da ginnastica, un pò come faceva suor Maria Claretta con le sue decolletè laccate rosse.
Mario, interpretato da Jean-Marie Bigard è un ex-galeotto che, uscito di prigione dopo sette anni, deve fare i conti con la malavita che è fuori ad attenderlo.
Per sfuggirgli chiede aiuto al fratello prete (un bravissimo David Strajmayster che nei modi somiglia tanto a Ben Stiller) che, armatolo di tunica nera ('guarda che è molto comoda eh?') e biglietto, lo spedisce in un paesino dell’Ardèche, da padre Etienne, suo amico prete, che lo accoglierà come seminarista.
Peccato che, arrivato in paese, Mario venga scambiato per il nuovo parroco in quanto padre Etienne è appena morto.
Inizia così una divertentissima commedia degli equivoci piena di gag esilaranti in cui, grazie ai due fantastici protagonisti, si ride di gusto dall’inizio alla fine.
Evidente lo zampino di Luc Besson, qui nelle vesti di produttore, il primo a proporre a Bigard, comico e cabarettista francese, la parte del parroco.


“Il caso ha voluto – ha raccontato Bigard - che quando incontrai Luc Besson per la prima volta - in occasione delle riprese per Restos du Cœur -, lui mi disse: ‘Ti vedrei bene nel ruolo di un parroco!’. Ce ne siamo ricordati quando ci siamo ritrovati assieme per parlare de Il Missionario.


Effettivamente devo dire che l’abito fa il personaggio: non appena ho indossato la tunica le persone hanno cominciato a trattarmi in modo diverso. Succede qualcosa quando si indossa quell’abito, è tutta questione di esserne degni!”.


E in effetti è proprio il contrasto tra la faccia un pò rude del protagonista e l’abito che indossa che rende ancora più comica la situazione: e poi, come ho già scritto, quelle fantastiche scarpe da ginnastica!
Buona anche la regia di Delattre, e la fotografia, un pò stile Giù al nord, altro film rivelazione francese di qualche tempo fa.


Infine una menzione alla musica di Alexandre Azaria, giusta e nei momenti giusti, soprattutto quando si inserisce con temi sacri o orientaleggianti.

domenica 7 febbraio 2010

Baciami Ancora: che fine hanno fatto i nostri eroi?


Dopo aver incontrato Gabriele Muccino insieme a Sabrina Impacciatore, Stefano Accorsi e Daniela Piazza a Bari durante un evento alla Feltrinelli (di cui ho postato parte dell’intervista), la mia voglia di andare a vedere Baciami Ancora è aumentata.
Si perchè, legatissima ai personaggi de L’Ultimo Bacio, nei quali dieci anni fa mi sono immedesimata, come molti immagino, era impossibile per me non andare a vedere che fine avessero fatto quei ragazzi un pò matti e incoerenti ma pieni di sogni e aspettative.
E non me me sono pentita.
Il film, forse un pò troppo lungo e a tratti un pò lento, è nel complesso molto appassionato e appassionante.
Gli amici, che nel primo film erano solo parzialmente delineati, qui crescono e diventano protagonisti, rendendo secondaria la storia di Carlo e Giulia.
Sorprendente il lavoro di Muccino sceneggiatore che ha saputo delineare in maniera impeccabile il carattere di ognuno, ma anche quello di tutti gli attori.
Nella sua intervista Sabrina Impacciatore afferma: ‘Perchè noi attori lavoriamo con emozioni vere. Noi sul set viviamo un’esperienza. Con Gabriele smetti di avere filtri e ti lasci andare. E questo si vede sullo schermo’. E io non posso darle torto.
In realtà Sabrina Impacciatore è quella che più mi ha colpito per la sua interpretazione: mentre ne L’Ultimo Bacio aveva la parte un pò stereotipata della moglie isterica, da poco diventata mamma, che scarica tutte le sue frustrazioni sul marito, qui la ritroviamo nei panni della mamma sola, cresciuta e più matura proprio grazie a questa esperienza, e che tenta di aiutare (lei l’ha chiamata la sindrome da crocerossina, a mio parere sminuendo un pò il suo ruolo) il suo nuovo amore (Paolo-Claudio Santamaria) senza però farsi trasportare dalle emozioni, perchè ora, come una leonessa, ha un figlio da difendere.
Altra interpretazione degna di nota è quella di Pierfrancesco Favino, bravissimo nel mostrare il lato tragicomico del marito tradito e abbandonato (divertentissime alcune scene in cui perde le staffe), ma che sa ammettere le sue colpe.
E poi non possiamo non parlare di loro, Carlo e Giulia, alias Stefano Accorsi e Vittoria Puccini.
Devo ammettere che sono entrata in sala con un pò di pregiudizi nei confronti di Vittoria Puccini.
Giovanna Mezzogiorno, che nell’Ultimo Bacio interpretava la parte di Giulia, è tra le mie attrici preferite, e in quella parte mi è piaciuta davvero tanto.
Inizialmente quindi temevo che avrei avuto una delusione nel vedere la Puccini al suo posto e invece, stranamente, mi ha convinto.
Sarà che Baciami Ancora è un sequel sui generis, nel senso che si può seguire e gradire senza aver visto L’Ultimo Bacio, oppure che la Puccini è stata molto brava nel calarsi nei panni della ex-moglie ferita che nonostante tutto continua ad amare quel marito che le ha rovinato la vita: in ogni caso il risultato è più che soddisfacente.
Poco convincente è invece l’interpretazione di Stefano Accorsi, che a differenza degli altri, sembra aver mantenuto lo spirito (e le capacità recitative) del Carlo di dieci anni fa.
In ogni caso il pregio del film sta nella sua coralità e di questo dobbiamo rendere merito al suo regista, che dopo le esperienze hollywoodiane è tornato in Italia più maturo e ancora più capace di portare sullo schermo i sentimenti e le passioni degli uomini.

venerdì 5 febbraio 2010

Baciami Ancora: incontro col cast



04/02/2010 Feltrinelli, Bari
Il produttore Domenico Procacci, Gabriele Muccino, Sabrina Impacciatore, Daniela Piazza presentano il film Baciami ancora. Intervista Silvio Maselli.

E questo è un estratto dell’intervista.

Maselli: Sabrina, com’è dopo dieci anni tornare sul luogo del delitto?
Impacciatore: E’ così bello che non posso pensare che sia già successo.
Gabriele Muccino, insieme ad Ettore Scola sono stati i primi a credere in me che fino ad allora avevo fatto la comica in televisione.
L’ultimo bacio è stato il film che mi ha cambiato la vita: sul set sono stata tutto il tempo con la tachicardia tipica dell’innamoramento.
Il personaggio di Livia è stato un pò scomodo da interpretare: tanta gente a Roma mi fermava dicendo: ‘Aho! Dopo che ho visto l’ultimo bacio non mi sono più sposato, immaginavo che mi moglie veniva come te!’
Dopo dieci anni Livia, per quanto sempre un pò rigida, è più umanizzata dal fatto di essere diventata madre.
Ma si ritrova in una relazione in cui fa la parte della crocerossina!
Maselli: Daniela, tu invece di che sindrome hai sofferto?
Piazza: Io nessuna. Il mio personaggio era in embrione nell’Ultimo bacio con pochissime sfumature. Il personaggio che Gabriele ha scritto per me in baciami ancora è invece bellissimo.
Maselli: Gabriele, tutti i tuoi film italiani sono prodotti da Domenico Procacci. Che relazione si instaura tra produttore e regista?
Muccino: C’è innanzitutto rispetto reciproco, a volte si comunica senza parlare. Io so che lui sa quello che ho in mente, quello che voglio fare, perchè lo legge meglio di chiunque altro e mi appoggia.
E’ un rapporto che purtroppo ho interrotto per la mia esperienza ad Hollywood, perchè i produttori erano altri.
Avere un produttore cui far sempre riferimento è molto importante.
Maselli: Domenico come hai visto crescere Gabriele, e come sei cresciuto tu insieme a Gabriele?
Procacci: Gabriele è cresciuto tantissimo, anche nei film americani che non abbiamo fatto insieme.
Negli ultimi film è evidente che Gabriele mette la macchina da presa a servizio della storia, mentre prima c’era forse la necessità di dimostrare il suo valore nella regia.
Lo trovo molto più misurato, ancora più bravo nella regia.
Maselli: Sabrina, come descriveresti il film?
Impacciatore: Quando l’ho visto per la prima volta ero stordita da quanto avevo visto. E’ come essere centrifugati. Perchè ci sono talmente tante emozioni: si piange, si ride, ci si arrabbia.
Il film parla di tante storie d’amore, è un film sull’amicizia, sul ritorno, sulla famiglia, sulla fede, sull’importanza delle donne, che nell’ultimo bacio erano quelle da cui fuggire, mentre qui sono quelle a cui si deve tornare.
Un film sul tempo che cambia e che ci cambia, sul desiderio di credere ancora in un sogno.
Maselli: Una delle caratteristiche più belle di Muccino sceneggiatore è quella di toccare le corde di un pubblico molto ampio. Nella scrittura di questo film come sei partito?
Muccino: E’ stato un percorso molto lungo, però uno dei vettori più importanti è stato il senso di colpa. Quanto è facile fare degli errori e come poi si debba tentare di recuperarli.
Da questa idea originaria è nato il film: su come si sbaglia e come si riesce a ritrovare il punto di partenza.
Mentre l’ultimo bacio etra un film siulla paura, sullo smarrimento e sulla fuga, questo è sul ritorno, sulla sensazione di aver sbagliato e il tentativo di recuperare.
Sono consapevole che ad una lettura frettolosa il film può sembrare più leggero di quello che in realtà è. Il motivo per cui riesco a toccare le corde di un vasto pubblico è proprio perchè in realtà ognuno riesce a trovare una chiave di lettura del film.
Questo film può essere per alcuni molto divertente per altri molto drammatico.
Maselli: Domenico, in Italia c’è qualcuno che pensa che voi siate dei fannulloni. Ci sono produttori, come te che fanno film per un’idea di ricerca filmica e produttiva. Cosa ti spinge davvero a fare film?
Procacci: In realtà le scelte difficili non sono quelle di produrre baciami ancora, sono altre, che fanno parte di un lungo percorso. A me piace seguire percorsi di autori con cui lavoro bene e sono in sintonia, anche se sono autori che fanno percorsi diversi.
Quello che mi auguro è che si veda una coerenza in quello che faccio. Ho prodotto i film di Garrone, che vanno in una direzione diversa da quella di Gabriele, o Ozpeteck o Vicari.
Per decidere cerco di capire se un progetto riesce ad emozionarmi e il percorso di un autore ad entusiasmarmi.
Maselli: Daniela, dal punto di vista dell’attrice cosa significa il momento dell’uscita del film, con il pubblico che ti riconosce e si riconosce?
Piazza: Questo per me è il primo ruolo importante in un film così importante. Mi sta arrivando un affetto sincero, se fermano me è perchè hanno visto il film. A teatro senti il calore del pubblico che vibra nella sala, il cinema lo vivi dalle persone per strada ed è un regalo immenso.
Maselli: Sabrina?
Impacciatore: Ci sono due livelli: uno è quello dell’attore, delle sue ansie sull’aver fatto un buon lavoro per poi averne altri (il lavoro dell’attore è precario).
E poi c’è il livello dell’anima che è quella più importante, perchè un attore vero (non uno che vuole apparire) sceglie questo mestiere perchè non può farne a meno.
Il momento in cui il film esce è di puro terrore: quando la risposta positiva arriva è un momento impagabile.
Maselli : Gabriele il lavoro con gli attori come lo elabori?
Muccino: Prima di iniziare le riprese divido gli attori in gruppi o per coppie e leggo la sceneggiatura a tavolino con loro. Lì vedo se i dialoghi se funzionano o non funzionano, riscrivo scene, taglio o aggiungo, faccio trasformazioni strutturali.
In questa lettura molto attenta gli attori prendono coscienza e si calano in personaggi che spesso sono lontani da loro.
Fatto questo lavoro preparativo sul set tutti sanno cosa devono fare e a quel punto si può lasciare andare la palla e vedere dove arriva.
Il film è stato scritto per tutti gli attori dell’ultimo bacio tranne che per Vittoria Puccini che ho trovato lungo il percorso. Questo ha aiutato tantissimo la scrittura della sceneggiatura.
Impacciatore: Perchè ci si emoziona quando si guarda un film di Muccino? Perchè noi attori lavoriamo con emozioni vere. Noi sul set viviamo un’esperienza. Con Gabriele smetti di avere filtri e ti lasci andare. E questo si vede sullo schermo.
Maselli: L’esperienza americana: che esperienza è stata e che esperienza sarà?
Muccino: Come regista italiano per convincere devi saperci fare a livello psicologico, devi convincere, perchè ad Hollywood hanno paura di sbagliare e perdere soldi.
Tu devi rassicurarli prima con le parole e poi con i fatti. E’ stata un’esperienza serena e piena di bei momenti ma con mille insidie.
L’esperienza della lingua per un regista è diversa da quella dell’attore. I codici di accesso di un regista su un attore sono gli stessi. Gli attori invece devono conoscere bene la lingua.
Per di più, gli americani, per impostazione sociale sono molto disponibili verso gli stranieri.
Fare film in America è molto costoso, è ambizioso, qualunque collaboratore sa che il film farà il giro del mondo, quindi c’è un’estrema serietà. Paradossalmente è molto facile guidare una nave dove tutti sanno bene cosa fare. I miei collaboratori italiani sono ugualmente bravi ma lo spirito del viaggio è diverso.
Maselli: Progetti per il futuro?
Muccino: Una commedia italiana e un film americano con Keanu Reeves.

Stefano Accorsi, causa impegni, è passato solo qualche minuto per salutare il pubblico .

giovedì 4 febbraio 2010

La prima cosa bella


Dopo Ovosodo, Virzì ritorna nella sua natia Livorno per un’Amarcord intensa e appassionata, dal titolo rubato alla famosa canzone di Nicola Di Bari La prima cosa bella.
'Dall'amore di una madre come la nostra non c'è scampo' affermano Bruno e Valeria, i due fratelli interpretati da Valerio Mastandrea e Claudia Pandolfi.
E in effetti sembra di essere di fronte ad un vero e proprio inno all’amore materno da parte del regista, che torna nella sua Livorno per raccontare una storia fortemente autobiografica.
Come il suo protagonista Bruno, Virzì ha infatti una mamma che ha fatto la cantante e il padre ex-maresciallo dei carabinieri.
E come lui, ha lasciato la sua amata/odiata Livorno a vent’anni per raggiungere Milano.
Persino il suo modo di essere, schivo e un pò problematico è lo stesso del Paolo ventenne.
Per le parti principali, Virzì si affida ad attori con cui ha già lavorato: un ruvido Mastandrea (N (io e Napoleone) e Tutta la vita davanti), sempre bravissimo nella parte dell'uomo psicologicamente provato dalla vita; una dolcissima Claudia Pandolfi (Ovosodo) che interpreta in modo impeccabile la parte della sorella troppo ingenua; infine la sua compagna nella vita Micaela Ramazzotti che a gennaio gli ha anche dato un figlio e che aveva già diretto in Tutta la vita davanti.
Micaela è unica nell'interpretare la solare e svampita mamma, un pò troppo fuori dai canoni.
Il suo alter ego 30 anni dopo è nientemeno che Stefania Sandrelli, attrice simbolo del cinema italiano.
Sembra che per prepararsi al ruolo, la Ramazzotti abbia visto tanti film interpretati dalla Sandrelli ed il risultato è incredibile: sembra davvero di veder recitare la stessa persona.
Bellissime anche le fotografie di Livorno, sature di colori quando riferite agli anni ’70, plumbee negli ’80 e naturali ai giorni nostri.
E’ evidente che Virzì si trova a suo agio nella sua città natale, anche se lui stesso ha affermato che la sua maggiore difficoltà è stata girare in una città dove tutti lo conoscono: ognuno voleva dire la sua e l’unica soluzione è stata farli partecipare come comparse.
Il risultato è stato comunque ottimo: il film, uno dei più intensi e poetici del regista, è divertente e consolatorio al tempo stesso e sembra voler dirci che tutti prima o poi dobbiamo fare i conti con gli eventi della vita che ci hanno maggiormente segnato, nel bene o nel male.

Per concludere una citazione alla canzone di coda: La prima cosa bella interpretata splendidamente da Malika Ayane.

martedì 2 febbraio 2010

Avatar il capolavoro di Cameron


Si narra che alla corte di re Cameron arrivarono Steven Spielberg, Peter Jackson, George Lucas, Guillermo Del Toro e Steven Soderberg per guardare con i loro occhi le meraviglie del suo regno.
No non è una favola, è realtà: ma sembra davvero di essere in un mondo fantastico.
Cameron ha impiegato più di 10 anni per creare un capolavoro come Avatar, e l’effetto è stato talmente strabiliante da portare tutti i più grandi registi, maghi degli effetti speciali, ad accorrere sul set del film.
Quello che hanno visto li ha incantati a tal punto da invogliarli a pensare a nuovi progetti in 3D (si mormora per esempio di una nuova trilogia di Star Wars in 3D).
Di Avatar negli ultimi tempi si è parlato e riparlato, nel bene e nel male.
Un dato di fatto però c’è: Cameron ha aperto le porte ad una nuova era del cinema.
E l’ha fatto in prima persona, inventandosi la tecnologia adatta (sua la nuova videocamera utilizzata) e aspettando che i tempi fossero maturi.
Chi voleva sminuire questo film ha affermato che la storia è stata già vista, facendo riferimento a storie come Pocahontas o Balla coi lupi.
Questo è vero solo se si racconta la trama in 4 parole (e in questo modo sfido chiunque a raccontarmi un film che abbia una trama originale).
Certo, si parla di invasori e indigeni, ma vi assicuro (senza entrare nel dettaglio della trama e rischiare spoiler) che è l’unica cosa che accomuna i 3 film.
E se di copie vogliamo parlare io le chiamerei ‘citazioni’, amate da tanti registi (Tarantino in primis): perchè da Aliens a Balla coi lupi, da Matrix a Blade Runner, il film sembra fare l’occhiolino a tanti film, ma senza essere colpevole di plagio.
Per il resto Avatar è un piccolo gioiellino da godersi dall’inizio alla fine (circa 3 ore di film che passano senza accorgersene), lasciandosi incantare, come bimbi davanti ad un nuovo gioco, dagli effetti del 3D sulla flora e la fauna del pianeta Pandora: sono questi i reali protagonisti del film, le piante e gli animali creati per l’occasione da Cameron ed il suo team.
Si perchè, se un difetto dobbiamo trovare ad Avatar, è che il cast non brilla per l’interpretazione.
A parte forse una Sigourney Weaver in splendida forma.
Ma forse la scelta di Cameron di prendere attori non molto famosi è stata fatta apposta per far mantere l’attenzione dello spettatore sulla totalità del film e non sui personaggi.
Quindi onore al merito a questo regista che per fare un film impiega anni ma che crea ogni volta innegabili capolavori.

lunedì 1 febbraio 2010

BIF&ST Lezione di cinema di Armando Trovajoli e Walter Veltroni


Il bello di questo festival è che ho potuto ascoltare personaggi che per la loro età e la loro carriera hanno effettivamente fatto la storia del cinema.
Presente alla lezione di oggi Walter Veltroni che intervista Armando Trovajoli, un compositore che ha fatto le colonne sonore di circa 300 film italiani tra i quali ci sono Riso Amaro, La Ciociara, Ieri, oggi e domani, I Mostri, C’eravamo tanto amati, Profumo di donna e tantissimi altri.
Ha persino musicato il Rugantino che inizialmente doveva essere un film diretto da Pasquale Festa Campanile e Massimo Franciosa ma mai portato sul grande schermo e che è diventato la famosa commedia musicale con lo stesso nome.
E oltre al Rugantino ci sono tante altre commedie musicali, tra le quali ad esempio Aggiungi un posto a tavola.
Presente in sala anche Ettore Scola che ha scelto Trovajoli per le colonne sonore dei suoi film.
Ascoltare quest’uomo novantenne è piacevolissimo, anche perchè suo interlocutore è un preparatissimo Veltroni che personalmente apprezzo molto soprattutto come critico cinematografico.
Trovajoli inizia a suonare come jazzista subito dopo la guerra e contemporaneamente si diploma al conservatorio Santa Cecilia di Roma.
Nella sua vita ha suonato con musicisti del calibro di Louis Armstrong e solo per caso (e per soldi) si ritrova inizialmente a suonare in RAI e poi a scrivere musica per il cinema.
Ha persino partecipato a due Sanremo (‘guarda un pò come sono caduto in basso’), in cui trionfa con l’arrangiamento di Viale d’autunno.
Molto divertenti sono i suoi aneddoti su come sono nati alcuni dei pezzi più famosi del cinema italiano.
Uno di questi è sulla canzone El Negro Zumbon, diventato un successo mondiale dopo essere stata cantata in playback e danzata da Silvana Mangano in Anna.
Trovajoli sminuisce (‘l’ho fatto per sbarcare un pò il lunario’, ‘è una scaletta’).
Alberto Lattuada gli aveva chiesto di scrivere la colonna sonora di Anna e un giorno gli chiede una canzone da far cantare a Silvana Mangano (doveva essere pronta per due giorni dopo e doveva essere un pezzo in stile sudamericano): il giovane Trovajoli prese una piccola orchestra con due maracas ed una grancassa...ed ecco El Negro Zumbon!
Nel piattume in cui c’erano gli strappacuore degli sviolinamenti (o core, o core, tutti a piagne), arriva questo ‘bum!’ di El Negro Zumbon, e il sottoscritto si ritrova a diventare un musicista di colonne sonore....e c’è poco da applaudire’
(se vi va eccovi il link su youtube della mitica Mangano in El Negro Zumbon http://www.youtube.com/watch?v=j-HNZLg6ntI&feature=PlayList&p=FF43699F4B546F5D&playnext=1&playnext_from=PL&index=36)
Ed eccovi ora alcuni botta e risposta Veltroni/Trovajoli.
V. ‘Com’è stato il rapporto con Ettore Scola?
T. ‘Ettore è l’anima gemella di un musicista. Dal primo film non mi ha mai tradito, ha sempre voluto che fossi io a scrivere la musica. Ettore è stonato ma sensibile: ha una sensibilità che è difficile da comunicare. Lo capiscono solo il regista e il musicista’.
V. ‘Un dubbio che sorge un pò in tutti noi è: quando nasce la musica di un film?
T. ‘Ci sono film in cui già durante la ripresa di una scena è necessario il sostegno della musica che dia una certa atmosfera alla sequenza. Non sempre, ma la maggior parte delle volte si. Se c’è a monte già il tema conduttore della colonna sonora è tanto di guadagnato’.
V. ‘Tra i film di Scola qual’è il film che hai amato di più e quale colonna sonora hai amato di più
T. ‘Il dramma della gelosia è il film che ho amato di più. Mentre La giornata particolare è stato il film più difficile. Sono arrivato a dire ad Ettore: non c’è musica’.
V. ‘C’è un film di cui avresti voluto fare la musica?
T. ‘Uno è Canone inverso, l’altro è Jona che visse nella balena’.
V. ‘La canzone che hai scritto che preferisci?

T. ‘forse Che m'è mparato a ffà ma perchè mi ricorda Sophia (Loren n.d.r.)
Infine una lezione per chi vuole fare musica da film: ‘Spazi pochi, film pochi e brutti, i pochi buoni che ci sono in giro sono stati già accaparrati o per motivi politici o per nepotismo. Quello che serve sono un computer e un pianoforte perchè non ci sono soldi per poter prendere un’orchestra. Però vi esorto: se amate la musica, amatela come una bella donna, non h importanza se morirete de fame e de freddo’.