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domenica 31 gennaio 2010

George Clooney ci porta 'Tra le nuvole'


Lavoro in un’azienda che ti costringe a viaggiare molto in aereo: immaginate quindi quanto è stato divertente per me rivedere le ossessioni da frequent flyer che ha il protagonista del film Ryan (interpretato in maniera impeccabile da un George Clooney in ottima forma).
La ricerca del bagaglio a mano ideale, il tentativo di portare il minimo indispensabile per evitare l’imbarco del bagaglio e la successiva attesa all’arrivo.
Persino l’ossessione per le raccolte punti/miglia che ti permettono di accedere ad aree riservate ai viaggiatori migliori o ti evitano file lunghissime è reale!!!
Quello che mi ha felicemente sorpreso è che le ossessioni di Ryan sono in realtà quelle del regista Jason Reitman, costretto anche lui a viaggiare molto per lavoro.
Ed il suo ultimo film non è altro che la conferma di come Reitman intende il concetto di fare film: un regista che da Thank you for smoking a Juno ha sempre uno sguardo sulle realtà attuali.
Non per altro il film ha vinto un Golden Globe per la migliore sceneggiatura.
Reitman ha affermato di aver iniziato a scrivere la sceneggiatura del film 6 anni fa, a partire dal romanzo di Walter Kirn, quando la crisi ancora non c’era.
Avendo però iniziato a girare in piena crisi economica ha deciso di reclutare persone che hanno effettivamente perso il lavoro chiedendo loro di ripetere davanti alla macchina da presa ciò che hanno effettivamente detto al momento del licenziamento o quello che avrebbero voluto dire.
L’effetto che ne è derivato è di un realismo incredibile.
Persino la canzone dei titoli di coda del film è di un uomo che l’aveva scritta subito dopo aver perso il lavoro e che l’ha poi portata a Reitman.
Ma la bellezza del film sta anche nel fatto che alterna momenti più intensi a quelli più divertenti, con battute strepitose: ed è qui che entra in gioco l’istrionico Clooney che ha saputo interpretare benissimo la parte del protagonista.
Ryan è un uomo che nell’ultimo anno è stato a casa solo 43 giorni (e sono stati quelli peggiori!).
Ha fatto della leggerezza uno stile di vita.

Così com’è leggero ed efficiente il so bagaglio a mano, così è la sua vita, priva di legami che appesantiscono e rallentano.
Ne è talmente convinto che lo ripete ai suoi seminari: ‘Quant’è pesante la vostra vita?’.
L’incontro con una giovane collega che vuole rivoluzionare il suo lavoro e con una donna che sembra essere il suo alter ego femminile gli faranno capire l’errore tanto da affermare una delle frasi del film che mi sono rimaste più impresse ‘Ognuno nella vita ha bisogno di un copilota’.
Bravissime anche le due protagoniste Anna Kendrick e Vera Farmiga, che a detta del regista interpretano la stessa donna a quindici anni di distanza.

Insomma un film di rara finezza con battute divertenti, con attori praticamente perfetti e che a detta di molti (nonchè della sottoscritta) è tra le commedie più belle degli ultimi anni.

giovedì 28 gennaio 2010

BIF&ST Lezione di cinema di Giuliano Montaldo e Daniele Vicari

Da sinistra i registi Daniele Vicari e Giuliano Montaldo e il direttore artistico del festival Felice Laudadio


Faccio prima di tutto una premessa: conoscevo il regista Giuliano Montaldo molto poco prima di incontrarlo a questa lezione di cinema, così ho raccolto un pò di informazioni su internet.
Ho scoperto che è nato nel 1930 e che ha diretto tanti film dai tempi di Fellini, Visconti, Antonioni, Rossellini, De Sica fino ad oggi, lavorando con attori del calibro di Volontè o Lancaster ma anche con Nicolas Cage o Rupert Everett.
Io personalmente lo ricordavo per il film (dalla indimenticabile colonna sonora di Morricone) Sacco e Vanzetti ma anche per la serie televisiva di Rai Uno Marco Polo (di cui da piccola avevo anche un albun delle figurine =)) con un indimenticabile Burt Lancaster.
Presenti alla lezione di oggi, oltre a Montaldo, Daniele Vicari (regista di Velocità Massima o Il passato è una terra straniera) e il direttore artistico del festival Felice Laudadio.
La lezione si è aperta con un omaggio a Riccardo Cucciolla, attore barese, scomparso 10 anni fa, fortemente voluto da Montaldo per la parte del pugliese Nicola Sacco in Sacco e Vanzetti, per cui ha anche vinto la Palma d’oro a Cannes.
Presente in sala anche il nipote di Cucciolla che in un intervento ha chiesto di non dimenticare questo grande attore della nostra terra, magari intitolandogli una strada a Bari.
Seguire questa lezione di Montaldo è stato piacevolissimo: il suo fare istrionico e tutta la sua esperienza cinematografica ha tenuto il pubblico incollato alla sedia dall’inizio alla fine.
Secondo Vicari, Montaldo è stato l’uomo delle ‘prime volte’.
Un suo primato è legato all’alta definizione: il suo corto Arlecchino fu il primo in assoluto ad essere girato in alta definizione e portato in giro per il mondo in diverse rassegne per mostrare questa nuova tecnica.
Inoltre Montaldo fu uno dei primi registi italiani a girare film ad Hollywood come Ad ogni costo e Gli intoccabili.
L’esperienza americana è stata per lui affascinante, dandogli anche tanta credibilità davanti ai produttori, però è voluto tornare in Italia (‘o hai il final cut e quindi hai voce in capitolo o rischi lo stritolamento’).
Persino il suo primo film da attore Achtung! Banditi! e Cronache di poveri amanti ha avuto il primato di essere stato tra i primi ad essere finanziato grazie ad una sottoscrizione popolare.
I cittadini genovesi (avari per definizione) si autotassarono acquistando il biglietto prima dell’inizio delle riprese e permettendo così al regista di portare a termine le riprese.
C’è anche una ‘prima volta’ nella pubblicità: è stato lui ad inventare il salto della staccionata della famosa marca di olio.
Lo stesso film Sacco e Vanzetti ha un primato: quello di essere uno dei primi film che narrano una vicenda americana vissuta da italiani.
In quel caso la difficoltà è stata quella di girare in ambientazioni tipicamente americane (la città di Boston) senza però andare negli Stati Uniti: la soluzione è stata quella di girare a Dublino essendo Boston fondata da irlandesi.
L’effetto è stato talmente realistico che nessuno si è accorto della differenza.
Sacco e Vanzetti ha avuto anche il pregio di aver scatenato la riabilitazione (purtroppo post-mortem) dei due protagonisti: è stato infatti vedendo il film che studenti di legge americani hanno chiesto di riaprire il caso e hanno dimostrato l’innocenza dei due italiani.
La lezione ha avuto anche risvolti comici, con battute rivolte a personaggi dell’attuale governo e c’è stato persino lo spazio per un paio di barzellette.
Ma non è mancato il consiglio ai giovani: scrivere la propria sceneggiatura e imparare a raccontare il film che si vuole girare ai produttori (‘o aspetterete mesi prima che leggano la sceneggiatura’).
Un pò come ha fatto Sergio Leone per il suo per un pugno di dollari: con tanto di rumori di cavalli e pistole fumanti.

mercoledì 27 gennaio 2010

BIF&ST Conferenza Stampa del 27 gennaio

i due registi Susanna Nicchiarelli e Claudio Noce





Tutta incentrata su due registi esordienti la conferenza stampa di oggi.
La prima è Susanna Nicchiarelli, regista de Il Cosmonauta, film prodotto dal ‘nostro’ Domenico Procacci con Claudia Pandolfi e Sergio Rubini.
Il film è ambientato negli anni Sessanta e narra la storia di due fratelli, Arturo e Luciana, comunisti convinti che vivono il momento della conquista dello spazio tifando per i cosmonauti sovietici, nel loro passaggio dal periodo adolescenziale vissuto in maniera completamente diversa.
Il secondo è Claudio Noce regista di Good morning, Aman con Valerio Mastandrea, film che narra dell’incontro di un adolescente di origine somala, con tutti i suoi sogni e le difficoltà di vivere in un paese come l’Italia, con un ex-pugile depresso.
Ad entrambi è stato chiesto come hanno vissuto il difficile cammino di regista esordiente fino ad arrivare finalmente al loro primo film.
E ovviamente la loro risposta comune ha evidenziato le difficoltà degli inizi, i tentativi di cercare produttori che credessero in loro e le difficoltà nel reperire i finanziamenti.
Sia la Nicchiarelli che Noce hanno lavorato, per il loro primo film, con attori affermati ed esordienti e hanno sottolineato quanto sia stato efficace la collaborazione di attori del calibro della Pandolfi o di Rubini o ancora Mastandrea ner mettere a proprio agio attori alle prime armi.
Infine hanno parlato dei loro progetti futuri, e visti i presupposti, speriamo di vederli presto ancora una volta dietro la macchina da presa.
Personalmente ho poi avuto la possibilità di scambiare due chiacchiere con Adriano Giannini, presente al festival per presentare il suo primo corto, dal titolo Il gioco, che sarà proiettato nel pomeriggio.

martedì 26 gennaio 2010

Alvin Superstar 2


Sono andata a vedere Alvin 2 per accompagnare mia figlia (di 3 anni e mezzo n.d.r) al suo secondo film al cinema.
Il primo è stato Arthur e la vendetta di Maltazard e devo dire che non le è per niente dispiaciuto (e anche a me).
Pur non avendo visto il primo episodio, lei ha gradito molto il film tanto che ancora ora (dopo avermelo già chiesto appena finito il film) mi chiede quando andremo a vedere di nuovo Arthur.
Non è stato così per Alvin: durante il film per un paio di volte mi ha anche chiesto quando saremmo andate via!!!
Certo c’è da dire che l’ambientazione dei due film è completamente diversa: Arthur è un bimbo ed i minimei sono un popolo fantastico (stile gnomi del bosco) tanto cari ai bambini.
Alvin, insieme ai suoi fratelli e alle nuove coprotagoniste (le Chipette), sono si adatti ai bambini, ma sono inseriti in un contesto molto più adolescenziale.
Siamo in un classico college americano, con bulli, pupe a contorno, e sfigati, un pò stile High School Musical, che non certo si adatta ad un pubblico al di sotto dei 10 anni.
In ogni caso il film in alcuni punti è molto divertente, soprattutto nella parte iniziale, ma in molti altri si perde e diventa noioso.
Degne di nota sono però tutte le gag delle Chipette, soprattutto i pezzi cantati, con le coreografie che fanno il verso alle cantanti in voga oggi (Beyoncè in testa).

BIF&ST Conferenza Stampa del 26 gennaio


Conferenza stampa di C'era una volta la città dei matti: da sinistra, dietro l'intervistatore, Marco Turco, accanto a lui la figlia di Basaglia ed in fondo a destra Fabrizio Gifuni
La conferenza è iniziata con l’intervista ad Alessandro Di Robilant, regista di Marpiccolo.
Il film, ambientato a Taranto è affidato in parte ad attori non professionisti, a partire dallo stesso protagonista Giulio Beranek.
Durante l’intervista Di Robilant ha sottolineato soprattutto la difficoltà avuta nell’approcciarsi al difficile quartiere Paolo VI e ai suoi alquanto diffidenti abitanti per raccontare la storia di questa ‘Gomorra’ tarantina.
L’attenzione si è poi spostata sul film C’era una volta la città dei matti, fiction in due puntate prodotta da Claudia Mori per Rai Uno e proiettato in anteprima ieri al Teatro Petruzzelli.
Il film tratta della vita di Franco Basaglia psichiatra e fautore della contestata Legge Basaglia che nel 1978 portò alla chiusura dei manicomi a favore di strutture di accoglienza che restituissero dignità ai cosiddetti ‘matti’.
Tra gli intervistati, Marco Turco regista del film, Fabrizio Gifuni, protagonista nei panni di Basaglia e la figlia stessa di Basaglia.
Per due volte Felice Laudadio, direttore artistico del festival, ha interrotto la conferenza stampa.
La prima per sottolineare la lunghezza dell’applauso che ha seguito la proiezione di ieri (stimato in circa 20 minuti) e incitare i giornalisti presenti in conferenza a dare importanza alla notizia.
La seconda per permettere a Claudia Mori, che non è potuta essere presente all’evento per motivi familiari, in contatto telefonico, di fare i suoi complimenti ai presenti per il successo del film.
Il film, che non ho potuto vedere, ma che andrà in onda il 7 febbraio su Rai Uno, sembra sia stato molto intenso.
Chi ha partecipato all’anteprima ha sottolineato il silenzio assoluto che ha accompagnato il film per tutta la sua durata (circa 3 ore) terminato con il lunghissimo applauso.
Insomma un successo per chi il film l’ha tanto voluto, che fa ben sperare in una televisione pubblica più vicina a questo genere e non ai tanti reality che ormai la fanno da padroni.

domenica 24 gennaio 2010

BIF&ST Lezione di cinema di Francesca Comencini e Marco Bellocchio


24 gennaio 2010 - h. 11.00 Cinema Kursaal

Mattinata impegnata quella di oggi.
Arrivo tutta trafelata al Cinema Kursaal con la paura di essere in ritardo (in realtà ero in anticipo di 10 minuti ma volevo prendere il posto migliore).
Sto per entrare quando vedo davanti a me Francesca Comencini e Marco Bellocchio.
Quale onore!

Ho potuto avvicinarmi e far loro i miei complimenti (nonchè chiedere un autografo...ma quello è per la mia collezione di ‘conoscenze vip’).
Contenta ancor prima di cominciare, mi siedo e mi accingo a godermi questa interessantissima lezione di cinema.
E’ strano vedere come la stessa Comencini è emozionata dalla vicinanza di un grande regista come Bellocchio; eppure lei, con film come Mi piace lavorare e Lo spazio bianco, che è stato presentato anche al Bif&st, non è da meno.
Lei lo definisce un regista ‘intenso’, che crea film ‘con personaggi che diventano persone e che ti accompagnano nella vita’, un maestro del nostro cinema.
Il discorso si focalizza principalmente sui film migliori di Bellocchio da Il diavolo in corpo, a I pugni in tasca, da Buongiorno, notte a L’ora di religione fino al suo ultimo film Vincere.
Si parte da Il diavolo in corpo definito un film sulla volontà di sopravvivenza e molto amato dalla Comencini (nonostante alla sua uscita fu oggetto di tante critiche e pettegolezzi).
Si tocca poi il tema dell’attenzione, da parte di entrambi i registi, alle figure femminili.
La Comencini racconta spesso le donne: il suo ultimo film è infatti incentrato su una donna (Margherita Buy) che vive da sola il dono della maternità.
Ed i film di Bellocchio hanno, a detta della Comencini, ma anche del regista stesso, personaggi femminili molto forti che sono chiusi in situazioni complicate ma riescono ad uscirne in un certo senso vincitrici (Vincere è solo l’ultimo dei film incentrati su donne con una fantastica Giovanna Mezzogiorno).
Questo anche grazie alla contrapposizione, cinematograficamente parlando, di interni angusti con bellissimi paesaggi esterni di provincia.
In Buongiorno, notte, ad esempio, è una donna che ha la possibilità di non subire la fedeltà della storia: è lei infatti che immagina, infedelmente alla storia, un Moro che esce vivo e cammina per strada.
Così come, sempre in Buongiorno, notte, c’è proprio la sensazione (presente in molti film di Bellocchio e sottolineati dallo stesso regista) di guardare dall’interno per fuggire verso l’esterno.
Poi il discorso si sposta su Vincere, con un bravissimo Filippo Timi nei panni di Mussolini padre e figlio, nel quale il figlio rinnegato soffre la separazione dal padre imitando più di una volta i suoi discorsi fino all’ultima intensa scena del manicomio, nel quale lui ripete un discorso del padre in un tedesco incomprensibile.
Altro tema importante affrontato dai due registi è stato la loro difficoltà, come quella di molti registi italiani, di far conoscere i loro film.
La Comencini afferma di essere stata accusata dai produttori di non essere una persona che si avvicina al pubblico. In realtà, come ho anche affermato in un mio intervento da lei apprezzato, spesso il problema non è dei registi ma è del pubblico che, per problemi di distribuzione dei film italiani, non riescono ad avvicinarsi a questo tipo di cinema.
Lo stesso film Lo spazio bianco molto apprezzato anche dalla critica, è stato pochissimo distribuito ed è rimasto in sala per un breve periodo.
Un’altra domanda è stata sul rapporto di Bellocchio con attori che sono anche registi (come Castellitto o Placido), alla quale lui ha risposto dicendo di non essere un regista dispotico ma aperto ai confronti e ha fatto un bellissimo apprezzamento sulla professionalità di Castellitto, capace, a differenza di attori più esibizionisti, di suggerire persino di ‘tagliare’ alcune sue battute anzichè aumentarle.
La mia mattinata si è conclusa con la rassegna stampa della giornata nella quale ho potuto apprezzare uno scoppiettante Pannofino, che con il regista Marengo, ha presentato la nuova serie Boris 3.
Seguito da Francesca Comencini che ha parlato de ‘Lo spazio bianco’ e poi da Marco Risi che con Valentina Lodovini ha presentato Fortapàsc.

BIF&ST Lezione di cinema di Gianni Amelio e Marco Turco


23 gennaio 2010 - h. 16.00 Cinema Kursaal

Il pomeriggio non poteva iniziare meglio: mentre aspetto l’inizio della mia prima lezione di cinema vedo arrivare, e sedersi proprio dietro di me, Ricky Tognazzi e Simona Izzo.
Mi avvicino a loro per chiedere il mio solito autografo (che ormai è diventato solo una scusa per intraprendere un discorso) e mi trovo di fronte due persone disponibilissime con le quali ho avuto il piacere di parlare.
Erano molto contenti dell’iniziativa di un Festival a Bari, pur essendo rimasti un pò delusi di vedere tanti posti liberi durante la serata precedente, quella di apertura, al Teatro Petruzzelli.
Questo ovviamente mi ha colpito molto, dato che al botteghino i posti erano tutti esauriti da tempo: evidentemente, come spesso succede, gran parte dei posti erano stati riservati per alcuni ‘eletti’ e poi non utilizzati.
In ogni caso, inizio la mia lezione di cinema e sono felicemente sorpresa di vedere professionisti come Gianni Amelio e Marco Turco dialogare allegramente come due vecchi amici.
Turco è stato per molto tempo aiuto-regista di Amelio per poi diventare regista lui stesso.
Il suo ultimo film La straniera, è stato presentato al Bif&st mentre lunedì sera sarà presentato in anteprima al Petruzzelli la fiction in due puntate prodotta per Rai Uno e da lui diretta C’era una volta la città dei matti.
Il discorso inizia con un riferimento ad un altro festival, il Torino Film Festival di cui Amelio è direttore e di cui è molto orgoglioso.
Ovviamente quando c’è stata la possibilità di fare un intervento è sorta spontanea la mia domanda sulla lontananza del cinema cosiddetto ‘d’autore’ presentato ai festival da quello che poi viene distribuito nelle sale.
Un esempio lampante è quello del film La cosa giusta di Marco Campogiani che ho avuto la fortuna di conoscere personalmente: un film elogiato da molti al TFF e poi distribuito in sole 4 sale in tutta Italia.

Purtroppo Amelio e Turco non hanno potuto che confermare la mia tesi per cui, da un pò di tempo ormai, a causa soprattutto della diffusione delle multisale e della chiusura dei cinema cittadini, si dà molto più spazio a film commerciali (soprattutto americani) a discapito di film italiani più impegnati.
Amelio stesso ha affermato che i registi sono ‘come palle di gomma che ogni volta qualcuno butta e terra e loro devono avere la forza di rimbalzare’: questo per evidenziare la difficoltà che un regista italiano ha di distribuire il suo film per quanto bello possa essere.
Il dialogo è stato quasi del tutto incentrato sul modo di ‘essere registi’ dei due protagonisti.
Molte sono state le lezioni e gli aneddoti raccontati, soprattutto dei tempi in cui Turco era aiuto-regista di Amelio.
Ecco la prima: se un regista mentre sta andando a fare qualche attività, per strada incontra una faccia o un ambiente interessante per il film, deve fermarsi e occuparsi di quello che ha visto.
Non deve lasciarsi distrarre da ciò che ha da fare: è il tragitto che porta le cose belle e non il piano di lavorazione o quello che si è deciso, nel percorso bisogna essere aperti a tutto.
La seconda riguarda il casting: niente foto di agenzie con Gianni Amelio, il casting era fatto andando a ‘cercare’ le persone giuste.
A questo proposito è stato divertentissimo l’aneddoto di una comparsa che era stata già scritturata: mentre lei era al trucco, Amelio aveva trovato un viso più interessante per quella parte e aveva fatto girare la scena a questa persona facendo ovviamente inviperire la comparsa quando aveva scoperto di aver perso il lavoro.
Poi si è parlato dell’importanza della gavetta: anche Amelio è stato aiuto-regista per grandi registe (donne) come la Wertmuller, la Cavani o la Berlinguer.
E’ lì che ha imparato l’essere regista: ‘alla base del nostro lavoro ci dev’essere la pancia, la vita, quello che si è, non la cosiddetta creatività’. ‘la regia ha bisogno di guerra: Fellini diceva che la regia è fatta da un tizio che sta sulla nave e vuole andare verso ovest mentre tutta la ciurma vuole andare verso est’.
Dalle parole di Amelio è risultato evidente quanto sia importante non tanto ‘studiare da regista’ ma ‘vivere da regista’, con tutte le conseguenze che ne derivano.
L’immagine che ne è uscita è stata quella di un uomo solo contro tutti che vive il suo film come un figlio e che tutto il resto della troupe difficilmente riesce a capire.
Infine ovviamente si è parlato dei suoi film.
Dalle difficoltà di girare la scena finale di Lamerica, quelle della nave che arriva a Bari piena di albanesi, nelle quali c’era la necessità di recuperare migliaia di comparse albanesi ai tempi della caduta del regime.
Alle difficoltà di dirigere un ragazzo con un handicap ne Le chiavi di casa.
Alla sua ultima impresa, del quale lui stesso è molto incerto, data la difficoltà di trovare comparse europee in Algeria, dove il film è girato.
Insomma una lezione di cinema un pò fuori dal comune ma che ci ha tenuti incollati alla sedia fino alla fine.

domenica 17 gennaio 2010

La rinascita di Verdone



Dopo il comicissimo Padre Spinetti di Acqua e Sapone, ritroviamo Verdone ancora una volta in abiti talari.
Questa volta però Don Carlo non è una macchietta, ma un sacerdote missionario in crisi che torna dalla sua famiglia per trovare un pò di conforto.
La situazione che trova lì è però talmente assurda (il padre sposato con la badante e i fratelli sul piede di guerra) che Don Carlo è costretto a mettere da parte i suoi problemi per affrontare quelli della sua famiglia.
E’ un Verdone più maturo quello di Io loro e Lara, un film in cui non si ride più per le gag alla ‘famolo strano’ ma per le situazioni, che sono poi quelle che ritroviamo nella vita di tutti i giorni.
E in effetti Verdone l’aveva annunciato: con Grande Grosso e Verdone si chiudeva il capitolo più comico della sua vita professionale e si apriva quello più malincolico.
Il film, dalle parole del regista ‘una commedia di impianto teatrale’, fa ridere ma anche pensare, affrontando con maturità i temi come quelli del sacerdozio e della prostituzione senza scadere nel banale.
Dicono che Verdone sai il regista delle donne: e anche in Io loro e Lara il cast è quasi del tutto femminile (nonchè multietnico), nel quale spiccano una sempre brava Angela Finocchiaro e una Laura Chiatti in versione comica che non dispiace (‘il più bel primo piano del cinema italiano’ a detta del regista, e come dargli torto?).
Insomma per Verdone un nuovo inizio e per noi un regista tutto da riscoprire.